Cenni storici

PREISTORIA

Vari ritrovamenti avvenuti nell’area su cui sorge la città nel territorio circostante attestano una diffusa frequentazione del sito già prima del II millennio a.c. e la presenza di un insediamento preiapigio e prelaconico. In particolare, presso la località Scoglio del Tonno, promontorio sito immediatamente a ovest dell’imboccatura del Mar Piccolo, vi sono tracce, anteriori al XII sec. a.c., di un centro caratterizzato da una notevole vitalità commerciale che probabilmente fungeva da smistamento dei prodotti provenienti dalle civiltà dell’Egeo (Micene) e dalle culture terramaricole della Valle Padana e forse da gruppi illirici dei Balcani centrali.

Un secondo insediamento, preesistente al XII sec a. c. e che presenta anch’esso testimonianze di scambi con la cultura micenea, si trova nell’area di Porto Perone e di Saturo, località dove giunsero, alla fine dell’VIII sec. a. c., i coloni Laconi che successivamente, pare, raggiunsero il sito su cui sorge l’attuale città, sola colonia di Sparta di tutta la Magna Grecia.

LA CITTÀ GRECA

Il primo nucleo dell’attuale città fu fondato nell’ VIII sec. a.C. dai Parteni (cittadini nati liberi durante il ventennio di assenza dei combattenti spartani nella prima guerra contro Messene e che non furono ammessi alla spartizione del bottino) fuggitivi da Sparta perché scoperti nel tentativo di organizzare un colpo di stato. I coloni, secondo Eusebio di Cesarea, guidati da Falanto e su indicazione dell’oracolo di Delfi, nel 706 a.C., si insediarono sulla stretta lingua di terra che separa l’attuale mar Piccolo dal mar Grande di fronte all’insediamento dello Scoglio del Tonno, posizione strategica e facilmente difendibile.

Con il successivo sviluppo urbano quest’area divenne l’acropoli destinata ad edifici di culto mentre il resto dell’abitato si estese nella zona dell’attuale città nuova, ad est dell’istmo. Non sappiamo nulla dei primi due secoli di vita della città che visse il periodo di maggiore floridezza a nel VI sec. a.C. Verso la metà del secolo il governo settennale di Archita (filosofo, matematico, ingegnere, seguace del pitagorismo) segnò il riconoscimento di una superiorità politica sulle altre colonie dell'Italia meridionale e l'acme dello sviluppo urbano tarantino.

Secondo le testimonianze degli storici romani la città possedeva la più grande flotta militare della Magna Grecia, un fortissimo esercito ed una popolazione di circa 240.000 unità. Ai visitatori appariva monumentale e variamente decorata. Di fronte all’acropoli, sul lato est, si apriva un’ampia agorà nella quale era collocata una statua di bronzo alta 18m raffigurante Zeus opera di Lisippo. Vi erano, inoltre, un meraviglioso ginnasio, un teatro piccolo ed uno grande, tre vie principali la percorrevano per tutta la sua lunghezza ed un circuito murario che la circondava per tutto il perimetro racchiudendo anche la necropoli.

atleti di taranto

Tra il VI ed il IV secolo a.C. alle feste panelleniche che si celebravano con gare ginniche presero parte anche atleti di Taranto che si affermarono in importanti discipline. Tra questi il più importante fu Icco, figlio di Nicolaide, che visse a Taranto nel periodo di maggiore floridezza della città e divenne rettore del famoso Ginnasio della polis.

Medico ginnasiarca e maestro, nonché fondatore della ginnastica medica e della dieta atletica. Vincitore del Pentathlon nella 77ª Olimpiade (472 a.C.), gli venne dedicato un monumento nel tempio di Giunone ad Olimpia a testimonianza di questa sua vittoria. Fu famoso come esempio di vita sobria e sostenitore della temperanza fisica e psichica prima delle gare, espressa con astinenza dai rapporti sessuali e con la continenza alimentare, attenendo ad un regime dietetico semplice e frugale detto Ikkou deipnon o Icci Coena.

la conquista romana

L’occupazione di Taranto da parte di Roma, avvenuta nel 272 a.C., rappresentò per i Romani, oltre che motivo di orgoglio per aver sottomesso la più grande città della Magna Grecia, l’inizio di una espansione sempre più rapida. Roma, ancora inusitata all’arte del mare, impose a Taranto sia la fornitura di navi che l’accoglimento di guarnigioni straniere. Taranto, anche se saccheggiata e costretta a pagare un enorme tributo di guerra, divenne città federata. L’abbondante bottino trovato a Taranto, ricco di vasellame, statue, argenti e bronzi fu tale che cambiò il corso dei metalli preziosi a Roma che per la prima volta coniò una moneta d’argento, vietando di fatto a tutte le altre città confederate di battere moneta eccetto spiccioli di rame. Pertanto Taranto dovette rinunciare a coniare la sua bella didramma, moneta d’argento di tale bellezza e fattura da essere ambita ovunque. Inoltre i Romani, avendo Taranto tra le città confederate, considerata bella e illustre e di vetusta civiltà, speravano di accentrare nelle loro mani le ampie relazioni commerciali che Taranto aveva nei maggiori centri.

Durante la prima guerra punica di Roma contro Cartagine, Taranto, in qualità di città confederata, rimase neutrale, ma avendo il conflitto rivelato la poca abilità marinara dei Romani, Roma chiese aiuto a Taranto e alle altre città marinare confederate; così in meno di due mesi ritornarono a navigare le splendide triremi, quadriremi e le galere tarantine che combatterono con onore in parecchie circostanze.

Passati ormai più di cinquant’anni dalla conquista di Taranto e ventitre dalla prima guerra punica, Roma non avendo più bisogno dell’aiuto di Taranto, aveva spostato il suo interesse verso Brindisi, che situata alla fine dell’Appia Antica stava diventando un importante porto commerciale. Nel 212 a.C. Taranto si ritrovò cosi in una difficile situazione economica, ma nonostante ciò, allo scoppio della Seconda guerra Punica, pur essendo corteggiata e adulata da Annibale, rimase fedele a Roma. Ma per un eccesso di diffidenza e per avere la sicurezza della fedeltà, Roma prese in ostaggio 13 giovani, figli di nobili Tarantini. I giovani tentarono di fuggire e una volta scoperti furono picchiati e gettati da una rupe. Questo sanguinoso gesto provocò sdegno in alcuni Tarantini che si allearono con Annibale. Lo trovarono accampato, come spiega il Carducci, “in Ebalia, presso il Galeso dove gli era facile il comodo necessario d’acqua e di pascolo per la cavalleria e di mantenimento per la truppa nel quartiere che si situò per un’intera estate”. Qui prepararono insieme un piano per entrare in città e dopo una notte di combattimento, i Romani vennero cacciati da Taranto e si rifugiarono nella Rocca. Dopo tre anni di battaglie tra assedianti e assediati, allo stremo entrambi, Taranto cadde nuovamente nella mani dei Romani che giunsero a rafforzare gli assediati della Rocca guidati da Fabio Massimo. I romani arrivarono alle porte di Taranto poco dopo la partenza di Annibale e buona parte del suo esercito, corsi ad aiutare Capua che stava per ritornare nelle mani dei Romani.

Cosi nel 209 a.C. Taranto tornò Romana, ma a causa del suo tradimento questa volta venne pesantemente saccheggiata e 30.000 cittadini furono portati a Roma in condizione di schiavitù. Migliaia di opere d’arte vennero portate a Roma per abbellire il trionfo del vincitore, tra cui la famosa statua di Ercole, tutta in bronzo del Lisippo. Non riuscirono però a trasportare il Colosso di Giove, alto 18 metri, sempre di Lisippo e la statua di Minerva alla quale in seguito Cesare fece erigere un tempio. Taranto era ormai allo stremo e decimata tra morti e deportazioni e Roma, per punirla, non diede a Taranto nuovamente tutti i privilegi di città confederata, per cui poco a poco i commerci smisero dei fiorire così come le arti della ceramica e dell’oro. La flotta tarantina venne inserita in quella romana e la città fu obbligata a pagare un tributo annuale e rinunciare a qualsiasi forma di conio, anche di rame.

In seguito poi ad una legge dei fratelli Gracco che limitava a 25 ettari a famiglia l’utilizzo dell’ager publicus, al fine di non abbandonare le terre in eccesso e ripopolare la città, furono inviati a Taranto dei contadini nullatenenti che vennero in possesso delle terre eccedenti per poterle coltivare e aumentare la produzione cittadina. In molti ritengono che i coloni romani si stabilirono fuori dall’antica città fondando la colonia di Neptunia nei pressi del porto commerciale. Non sappiamo se questa colonizzazione dette i buoni risvolti economici sperati da Roma, sappiamo solo che in seguito la colonia venne fusa alla città sotto la denominazione di Tarentum Neptunia.

Taranto quindi divenne un piccolo centro di provincia, tanto che durante la guerra sociale tra Roma e le città alleate, Taranto non si schierò; una volta sedata la rivolta, Roma decise di trasformare Taranto in Municipium Civium Romanorum e di “regalarle” una legge - Lex Municipi Tarenti – che fu di grande interesse storico e giuridico, costituendo il più antico esemplare di statuti municipali concessi da Roma. I frammenti di tale legge vennero scoperti da prof. Luigi Viola, già direttore del Museo Nazionale di Taranto, in contrada Solito nel 1896, oggi sono però conservati al Museo Nazionale di Napoli.

Taranto arrivo così al primo secolo a. C, considerato si un piccolo centro, ma di grande interesse turistico per i romani, sia per il clima mite, che per la sua storia, che per i suoi raffinati costumi e le sue bellezze naturali come le splendide coste e il rigoglioso Galeso.

Numerose famiglie dell’aristocrazia romana costruirono sontuose ville nelle zone costiere tra Gandoli e Saturo fino ad arrivare a Torre Ovo dove vi passavano i miti inverni circondati da stupendi panorami. Anche Cicerone, Seneca, Orazio e Publio Virgilio Marone, tra i poeti più conosciuti, decantarono spesso le bellezze tarantine.

Benchè, all’epoca dell’Impero Romano, Taranto divenne una città di provincia, perdendo buona parte della sua importanza, e  molti storici, a ragione, dicano che la città in questo periodo non fu altro che spettatrice dei grandi avvenimenti storici, non possiamo dimenticare che accanto alle bellezze dei templi greci iniziarono a sorgere edifici pubblici romani tra cui le grandi e belle Terme Pentascinensi ubicate tra le attuali via Duca di Genova, via Duca degli Abruzzi, Via Principe Amedeo e via Giuseppe Mazzini e che da scavi del 1980, risulta la presenza a est, fuori dalla città antica, di numerosi ambienti destinati ad attività artigianali quali: i sarcinatores (sarti rammendatori), i tectores (muratori), i fabri (fabbri ferrai), i navicolari (addetti alle attività marinaresche) e gli argentari (termine che potrebbe riferirsi tanto a lavoratori di argento quanto ai contabili).

L’agricoltura e l’allevamento sufficienti per la ormai poco numerosa popolazione tarantina, diminuita a causa di guerre e deportazioni, aveva però dei caratteri distintivi, famosi in tutto l’Impero Romano:

  • La produzione di una particolare lana proveniente da pecore di piccola taglia tipica della sola zona tarantina;
  • Olivicoltura e viticoltura che ancora oggi sono un nostro fiore all’occhiello;
  • L’allora famoso miele tarantino, ricordato anche da Orazio;
  • Il mandorlo che si coltivava quasi esclusivamente nel tarantino;
  • La produzione delle tinte turchino e porpora, provenienti rispettivamente dal murice e dalla porpora, molluschi di cui il Mar Piccolo  

          abbondava.

IL CRISTIANESIMO A TARANTO

Notizie certe e confutabili dell’avvento del Cristianesimo a Taranto purtroppo non ce ne sono, ma la leggenda, riportata da diversi storici, narra che San Pietro arrivato a Taranto via mare con San Marco, di ritorno dall’Antiochia, si sia trovato d’innanzi al Tempio del Re Sole e all’imponente statua a lui dedicata, opera del Lisippo (ubicato nell’attuale via Solito). Lì vi era una sorgente di acqua purissima da cui si poteva bere dopo aver adorato il Re Sole. L’Apostolo si rifiutò, e fatto il segno della croce, bevve e l’idolo crollò per terra in frantumi. Durante il suo soggiorno in città, Pietro operò vari miracoli tra cui l’aver raddrizzato un giardiniere curvo di nome Amasiano. Egli, convertitosi dunque al Cristianesimo, divenne il primo Vescovo di Taranto che sotto di lui ampliò il culto dei cristiani e edificò svariate chiese. Sembra che la prima chiesa edificata sia stata quella di Santa Maria, nei pressi delle vecchie mura cittadine prendendo anche il nome di Murivetere. Le prime notizie certe però dell’edificazione di una chiesa sono quelle del Duomo che pongono l’edificazione della cattedrale nel IV secolo che, partendo da strutture paleocristiane nella cripta, giunge ad una fase bizantina evidente sia nel transetto che nell’abside. E’probabile che a causa della distruzione saracena del 927, la cattedrale sia stata riedificata in epoca bizantina tra il X e XI secolo, e comunque subito dopo la conquista Normanna di Taranto nel 1070 per volontà del vescovo Drogone.

Bisogna rimarcare che, pur avendo un’alacre opera di conversione, nel IV secolo a Taranto esisteva ancora una numerosa comunità pagana ed una ebraica, nata da prigionieri ebrei deportati a Taranto dopo il '70, che negli anni era diventata così potente che la diserzione dagli oneri curiali metteva in crisi parecchie città della regione.

LA CADUTA DELL'IMPERO ROMANO E BISANZIO CONTRO I BARBARI

Taranto quindi vive nell’orbita dell’Impero Romano e risente pesantemente della sua crisi così come risente del vasto movimento delle popolazioni barbare che si affacciano alle porte dell’Impero del III secolo, anche se grazie alla sua posizione geografica inizialmente la Puglia non viene toccata da queste invasioni.

Diverso invece è il ruolo di Taranto nelle lotte tra Bisanzio e i Barbari che più volte è stata utilizzata come roccaforte barbara contro i Bizantini. Intorno al 540, Totila, leggendario condottiero Goto, occupa Taranto e ne fa la sua principale piazzaforte nella quale pone il suo tesoro e le insegne. Attratto dalla fertilità del suolo, dalla mitezza del clima e dal vasto e sicuro porto decise di farne la sua dimora. La cinse di valide mura e grandiosi edifici fra i quali ampliò le antiche torri del Gallo e del Cane dentro le quali pose il suo tesoro e le insegne reali. Dopo una diecina di anni, Totila si allontanò da Taranto per combattere al fianco dei Re dei Goti contro Bisanzio, lasciando Taranto con una buona guarnigione al comando di Ragnari per difendere la città strategicamente importantissima. Alla morte di Totila però Ragnari si trovò in grave difficoltà e alla fine consegnò praticamente la città in mano ai Bizantini che erano a Otranto.

Così per parecchi secoli Taranto restò Bizantina, come tutta l’estremità meridionale dell’Italia. E anche se c’erano disagi di natura religiosa e pressione fiscale, Taranto e tutto il Mezzogiorno Bizantino conobbe anni di pace e prosperità, a differenza di ciò che accadeva nel resto dell’Italia con lotte intestine tra Carlo Magno, Longobardi e Papato.

TARANTO E I SARACENI

Dopo aver conquistato la Sicilia e averla strappata ai Bizantini, i Saraceni si dedicarono all’occupazione delle piccole e grandi città costiere del meridione. Nell’ 827 d.C. i Saraceni attaccarono e devastarono Taranto che negli anni successivi diventò teatro delle loro scorrerie. Fin quando nell’ 839, forti dei vittoriosi combattimenti di Brindisi, riuscirono a introdursi nel porto e scalare le Mura della città, occupandola. I Bizantini però cercarono in più riprese di riprendersi Taranto che a periodi alterni vide l’alternanza dei governi bizantini e saraceni. Il 15 agosto del 927, Taranto fu teatro di una feroce incursione saracena che distrusse quanto rimaneva della città greco-romana. I saraceni infierirono pesantemente anche sulla popolazione, massacrando molti e deportando in Africa come schiavi i superstiti. I pochi scampati alla morte si rifugiarono sulle Murge.

Nel 967, dopo circa quarant’anni, poi l’imperatore bizantino, Niceforo II Foca, considerato il secondo fondatore della città, cedendo alle richieste dei superstiti delle Murge, fece ricostruire Taranto, edificando l’odierno Borgo Antico; ma in questa operazione vennero definitivamente distrutti gli ultimi resti dell’acropoli greco-romana. Niceforo si interessò anche di facilitare il lavoro dei pescatori facendo colmare il tratto costiero lungo il Mar Piccolo e costruì un ponte si 7 arcate. I rifugiati, riacquistando fiducia nelle potenzialità della città, ritornarono a popolarla e a occupare la zona spianata sul Mar Piccolo.